dal film Prima che sia notte
Ho inghiottito diamanti grezzi, puro carbonio.
Stomaco lacerato e sanguinate
Fluido ematico riempie gli interstizi
Scorre fra l'ansate labirinto cellulare
Raggiunge la pelle calda al sole
Grumoso come colore sulla tela
Una madida lingua lo scioglie e mi lava.
Vulcano inattivato da rancide parole
Cratere occluso dal proprio fumo.
Nessun moto convettivo sospinge il fluido magmatico
Non cola più sulla fredda e nera superficie
Gelida ne resterà la crosta
Sotto il cielo egoista che ha inghiottito le stelle
Che ha ucciso la fredda incandescenza lunare.
Gelida è la crosta, gelido il suo propagarsi.
Solida lava. Non è quiete,
È stabilità morente.
Dalla notte senza suoni emergono occhi graffiati da parole mute.
Nè sangue nè lacrime vi sgorgano.
Polvere di gesso li vela
li volgo al cielo
in attesa che cada salvifica pioggia
ad impastare
ad impedire di vederti
Lacrime pesanti come pietre cadono sull’anima
Palpebre serrate impediscono ad esse di esser viste
Non voglio svelare il loro triste colore.
Con il vento giungono a me le tue parole
Inspiro
Le sento attraversarmi il corpo e poi
lentamente
l’anima le assorbe dentro sé…
19 Aprile 2009
Un angelo avvolto nelle sue ali d'acciao
Piume metalliche
Infossate in tenera carne.
Sangue scola fra le vergini gambe
Fino ad addentrarsi e divenire radici.
Lacrime di Serafini
scendono con il dolce suono della terra
ad accarezzare i tristi occhi degli uomini di cenere.
Si mischiano alle lacrime di fango
che sporcano i volti rosei da bambini.
E noi
beviamo lacrime
per occultare
il finto splendore
dei nostri occhi.
Le persone ci pensano ancora meno di quanto possiamo immaginare.
Viviamo giorni, mesi, anni di illusioni.
Come un riccio, vivo arrotolata su me stessa mostrando soltanto i forti aculei, le palpebre serrate. Uno spiraglio di luce balugina sulla pelle sottile che ricopre gli occhi, come se il sole corresse nel cielo e i raggi sfuggissero fra le fronde degli alberi. La sensazione non mi è sconosciuta, per la prima volta dischiudo gli occhi come un bambino appena nato.
Ora la luce non è sfuggente. Ho la sensazione che mi attendesse. È una luce intensa. Non è il chiarore della porcellana. È oro fuso sospeso nell’aria. La fonte luminosa, sempre rutilante, emette vibrazioni che si propagano fra gli atomi di ossigeno, si trasmettono fino al corpo. Ricevo milioni, forse miliardi, di microscariche sulla pelle. Come un quadro di Seurat prendo coscienza di punti vorticosi concentrati, addossati gli uni agli altri, non pulsano colore. Gemmano.
Una nuova linfa scorre assieme al sangue, ne annulla l’amaro sapore. Non temo la metamorfosi, non temo più nulla. Le sensazioni si spandono come un liquido colorato e caldo, sono il recipiente che le contiene. Alzo gli occhi per assicurami la costante presenza nel cielo.
Arriva un vento procelloso e gelido, strappa le foglie dai rami, lascia inermi gli alberi, nudi, accanto ad altre nudità. Spinge la luce, ormai è lontana, quasi impercettibile agli umili occhi umani. La consapevolezza della sua presenza cura le escoriazioni sulla pelle che gli urti del vento mi hanno provocato.
Fuggo dal bosco, non riesco più a sentirmi tranquilla.
Sono fra la gente. Le vie si diramano all’infinito, labirinti scolpiti sulla crosta terreste, potrebbero condurmi ovunque, da nessuna parte, da te, a me stessa…
I volti di chi mi è intorno sono irriconoscibili, maschere deformate, fuse dal calore. Risa, sorrisi che abbagliano, emergono dalla calca. Cerco dentro me stessa il folgore che porterà la bocca ad allargarsi in un grande sorriso, sarò una di loro, si tramuteranno in volti conosciuti. Non c’è altro che il grigiore della tristezza. Alla loro gioia spicca la mia infelicità, l’Assenza.
Fuggo, consapevole di non poter più tornare priva di rabbia in quel mondo. Una corsa estenuante mi porta lontana. Debole mi arrendo.
Al mattino, quando il sole si eleva alto nel cielo, lascio che i raggi asciughino le lacrime versate nella notte, interrompo il torpore delle membra per edificare la mia piramide. Lì vivrò, la mia vita sarà la morte.
Muto ancora. Sono una larva. Impenetrabile agli occhi il bozzolo mi protegge come un caldo mantello. Avverto il rumore, i passi e le voci di chi si avvicina all’esile rivestimento. Ovattate giungono a me, non voglio comprenderle; nessuna di essa potrà mai riempire il cuore languido, privo della potenza contrattile, somigliante ormai ad un sacchetto vuoto che volteggia nel vento. Mi schermisco. Nell’anima ho solo Lui. Non esistono altre labbra che io desideri baciare, altri occhi da cui poter bere.
Tremo nel gelo, fra lacrime e disperazione.
Il tempo mi rende una falena. Schiudo le ali come un uomo liberato dalla camicia di forza. Sono fuori dal bozzolo, sono fuori nella notte fredda e complice degli incontri tra amanti, degli omicidi e di tutto ciò che gli occhi non devono vedere.
Con la notte torna il vento, nel dolce oscillare delle raffiche è cullata la luce. È alta, irraggiungibile, avvolta nel velluto scuro e morbido. Sbatto le ali, le sbatto più che posso. Mi illudo di raggiungerla, il vento ci allontana ancora.
Attendo un treno in riva al mare, sotto la luna straripante, madre indulgente. Il suo candore si riflette sull’acqua increspata, gli occhi opalescenti si appannano, per la prima volta tremano di paura.
Sei un pensiero infossato nella carne. Un uragano. Un evento imprevedibile. Incontrollabile, e ciò che sfugge al controllo ci fa temere. Per noi, per gli altri.
La salinità scioglie. Vorrei che nelle lacrime miste al sale ci sia tu, usciresti dai miei occhi. Ma un pensiero, un’essenza, non possono esser sciolti…
Vorrei palpare i sentimenti, avere la certezza della loro esistenza, una prova che non siano creazione della mente.
La nausea è svanita. Ho vomitato parole, immagini, tutto ciò che ho fagocitato nel tempo.
Posso alzarmi, osservare allo specchio la nuova pelle coprire la carne ancora vulnerabile e nuda.
Il corpo assorbe il tepore
Vibrante al suo fianco,
Calda mano
Si insinua fra le cosce
Sboccia magnolia,
Sboccia...
Permetti al vento di dissipare i pollini
Fagocitali bocca purpurea
Murali nelle tue carni
Rileggo poesie scritte anni fa, non le sento più appartenermi.
Il passato mi è indifferente, come esso un giorno lo sarà il presente...
Ti stringerei in una morsa di calore
Fonderei il tuo corpo
Lo berrei
Per averlo nel mio corpo.
Il cuore,
quello non posso farlo entrare
si è schermato nella rete metallica.
Indistruttibile.
Non occultare
Ciò che potrebbe
Riscaldare
Le palpebre gelate dal vento.
Presto sentirai l’odore di carne marcia
che hai accumulato sotto le unghie
quando
con dedita cattiveria
scavasti annidandoti
nel mio succoso cuore.
Il mio animo vaga lungo le vie
deserte e fosche…
solo.
Il sole si è spento,
l’acqua si è cristallizzata,
il nero solare ha prosciugato ogni forma di vita.
Circondata dal buio
e dal freddo
mi accovaccio a terra
a fianco al mio essere
e piangiamo insieme
Ambientato nella Roma neroniana narra dell’innamoramento del giovane Vinicio il quale, veduta per la prima volta Licia in casa di Aulo Plauzio, chiede l’aiuto dello zio Petronio, favorito di Nerone. Costui escogita un piano; ma la ragazza, essendo cresciuta nell’umiltà e nella purezza d’animo della religione cristiana, respinge Vinicio, pagano e dissoluto. Con la complicità di altri cristiani fugge, ma l’amore che Vinicio sente per Licia lo conduce al suo ritrovamento.
La religione cristiana che li divise profondamente alla fine li riporterà all’unificazione.
Numerosi sono i ritratti che si affacciano nel romanzo, il più affascinante è indubbiamente il ritratto di Petronio, denominato "arbiter elegantiarum". Uomo raffinato, esteta, sarcastico e distaccato.
Perderà il favore di Nerone, equivalente alla condanna a morte, e pur di non mostrarsi sconfitto organizzerà un banchetto nel quale si toglierà la vita tagliandosi le vene.
Ecco il brano che descrive la morte di Petronio:
Fece cenno al medico greco e gli allungò il braccio. In un attimo l'abile chirurgo gli aperse la vena dove il braccio si piega. Il sangue zampillò sul cuscino e innaffiò Eunice, la quale, sostenendo la testa di Petronio, s'inchinò su lui, dicendo:
– Hai tu supposto che io ti lasciassi? Se gli dèi mi dessero l'immortalità e Cesare l'impero del mondo, ti seguirei lo stesso.
Petronio sorrise, si alzò un po', avvicinò le sue labbra a quelle di Eunice e disse:
– Vieni con me.
Ella stese il suo roseo braccio al chirurgo e poco dopo il di lei sangue incominciò a confondersi e a perdersi in quello dell'arbitro.
Indi Petronio fece segno al maestro di musica e di nuovo si udirono le cetre e le voci dei coristi. Cantarono prima Armodio, poi il Canto di Anacreonte, il canto nel quale il poeta si duole di avere trovato un tempo il fanciullo di Afrodite assiderato e piangente sotto un albero; egli lo raccolse, lo scaldò, gli asciugò le ali, e il fanciullo ingrato gli attraversò il cuore con un dardo, e da quel momento il poeta non ebbe più pace.
Petronio e Eunice, colla testa dell'uno adagiata sul petto dell'altra, belli come due divinità, ascoltavano, sorridevano e divenivano pallidi. Alla fine del canto Petronio ordinò dell'altro vino e delle altre vivande; poi si mise a conversare coi convitati vicini a lui di cose di poca importanza, ma piacevoli, tali come si dicevano di solito ai banchetti. Per ultimo, chiamò il greco perchè gli fasciasse il braccio per un momento, perchè il sonno lo tormentava, ed egli voleva abbandonarsi ad Hypnos prima che Thanatos lo addormentasse per sempre.
Infatti si addormentò. Si risvegliò col viso di Eunice sul suo petto, come un fiore bianco. L'adagiò sul cuscino per contemplarla una volta ancora. Dopo si fece riaprire le vene.
Al suo cenno i coristi ricominciarono il Canto di Anacreonte, accompagnati dolcemente dalle cetere per non soffocare le parole. Petronio continuava a impallidire; terminato il canto si volse di nuovo agli invitati, dicendo:
– Amici, confessate che con noi perisce...
Non ebbe la forza di finire; coll'ultimo movimento del suo braccio cinse Eunice, la sua testa cadde sul cuscino e morì.
Gli ospiti, guardando a quelle due bianche forme, rassomiglianti a due statue meravigliose, comprendevano bene che con loro periva tutto ciò che era rimasto alla società di quel tempo: la poesia e la bellezza.
Chi è colui così gagliardo e forte
che possa vivere senza poi morire
E da colei ch’è tutto, Madonna Morte,
l’anima sua possa far fuggire?
La Morte schifosa, la Morte lasciva!
La Morte! La Morte! La Morte che arriva!
La Morte, la Morte, dolcissima e amara,
la Morte che avanza nella notte chiara.
La Morte di pietra, la Morte di neve
la Morte che arriva con passo lieve.
La Morte che dona, la Morte che prende,
la Morte che ruba, la Morte che rende,
la Morte che passa, la Morte che sta,
la Morte che viene, la Morte che va.
La Morte che arriva con il suo dolore,
e avvolge ogni cosa con il suo fulgore.
La Morte regina senza scettro e corona,
La Morte! La Morte! La Morte in persona!
La Morte! La Morte! La Morte furiosa,
la Morte maligna, la Morte pietosa,
la Morte sicura, la Morte carogna,
la Morte che ha il muso di un topo di fogna.
Verrà la Morte e i tuoi occhi avrà
e la bellezza tua, vanità di vanità…
Verrà la Morte e porterà con sé
tutto il tuo impero, tutto, insieme a te…
Verrà la Morte e taglierà il legame
così sottile e forte, così bello e infame…
Verrà la Morte, sarà la tua coscienza,
è stata tua compagna in tutta l’esistenza…
Verrà la Morte, e a te che non sei niente
porgerà la mano, in mezzo all’altra gente…
…e tu sarai il primo, come vorrà la sorte,
a danzare con lei la danza della Morte!
La Morte bizzarra, la Morte normale,
la Morte che viene a lenire ogni male
la Morte che vive, la Vita che muore,
la Morte! La Morte! La Morte nel cuore!
La Morte ha danzato, la Morte civetta,
la Morte ti ha scelto, la Morte ti aspetta!
La Morte trionfante, la Morte gloriosa!
La Morte! La Morte! La Morte tua sposa!
Verrà la morte e a te che non sei niente
porgerà la mano, in mezzo all’altra gente…
…e tu sarai il primo, come vorrà la sorte,
a danzare con lei la danza della Morte!
Verrà la Morte, sarà la tua coscienza,
è stata tua compagna in tutta l’esistenza…
Verrà la Morte e taglierà il legame
così sottile e forte, così bello e infame!
La Morte che vive, la Vita che muore,
la Morte! La Morte! La Morte nel cuore!
La Morte! La Morte! La Morte furiosa!
La Morte trionfante! La Morte gloriosa!
La Morte bizzarra, la Morte normale,
la Morte che viene a lenire ogni male!
La Morte regina senza scettro e corona,
La Morte! La Morte! La Morte in persona!
La Morte, La Morte, dolcissima e amara,
la Morte che viene nella notte chiara.
La Morte schifosa, la Morte lasciva.
La Morte! La Morte! La Morte che arriva!
La Morte sicura, la Morte carogna,
La Morte che ha il muso di un topo di fogna.
La Morte ha danzato, la Morte tua sposa,
la Morte maligna, la Morte pietosa…
da Attraverso lo specchio - Dylan Dog
Dove un tempo le acque del tuo viso
Vorticavano alle mie eliche, il tuo arido spettro
Sibila e il morto rovescia i suoi occhi;
Dove un tempo i tritoni attraverso il tuo ghiaccio
Spingevano fuori i capelli, l'arido vento fa rotta
Attraverso sale e radici e uova di pesce.
Dove un tempo i tuoi nodi verdi affondavano un tempo la loro piombatura
Nel cordame sommerso da maree, laggiù procede
Colui che verde districa.
Le sue forbici oliate, libero il suo, coltello pende
Libero per tagliare i canali alla sorgente,
Per deporre più in basso umidi frutti.
Le tue regolari maree irrompono invisibili
Sui letti amorosi dell'alghe,
L'erba d'amore è lasciata a disseccarsi;
Là attorno alle tue pietre
Corrono ombre di fanciulli che dai loro vuoti
Si lamentano al mare delfinoso.
Aridi come tomba, le tue ciglia colorate
Non saranno richiuse quando saggia
una magia scivolerà su terra e cielo;
Vi saranno coralli nei tuoi letti,
Vi saranno serpenti alle maree,
Finchè tutte le nostre fedi marine morranno.
Oh, fatemi una maschera e un muro per nascondere alle spie
Dei vostri occhi aguzzi e laccati e degli artigli occhialuti
Lo stupro e la rivolta degli asili infantili del mio volto,
Mordacchia d’albero ammutito per bloccare contro i nemici scoperti
La lingua baionetta in questo indifeso pezzo da preghiera
(Questa bocca) e la tromba delle bugie soavemente sonata,
Espressione di tonto scolpita in quercia e in antica armatura
Per proteggere il cervello corrusco e smussare gli ispettori,
E un vedovile dolore unto di lacrime languente dal ciglio
Per velare la belladonna e lasciare che gli occhi asciutti
Scorgano gli altri tradire le lagnose bugie delle loro sconfitte
Con la curva della bocca nuda e il sorriso sopra i baffi.