Ambientato nella Roma neroniana narra dell’innamoramento del giovane Vinicio il quale, veduta per la prima volta Licia in casa di Aulo Plauzio, chiede l’aiuto dello zio Petronio, favorito di Nerone. Costui escogita un piano; ma la ragazza, essendo cresciuta nell’umiltà e nella purezza d’animo della religione cristiana, respinge Vinicio, pagano e dissoluto. Con la complicità di altri cristiani fugge, ma l’amore che Vinicio sente per Licia lo conduce al suo ritrovamento.
La religione cristiana che li divise profondamente alla fine li riporterà all’unificazione.
Numerosi sono i ritratti che si affacciano nel romanzo, il più affascinante è indubbiamente il ritratto di Petronio, denominato "arbiter elegantiarum". Uomo raffinato, esteta, sarcastico e distaccato.
Perderà il favore di Nerone, equivalente alla condanna a morte, e pur di non mostrarsi sconfitto organizzerà un banchetto nel quale si toglierà la vita tagliandosi le vene.
Ecco il brano che descrive la morte di Petronio:
Fece cenno al medico greco e gli allungò il braccio. In un attimo l'abile chirurgo gli aperse la vena dove il braccio si piega. Il sangue zampillò sul cuscino e innaffiò Eunice, la quale, sostenendo la testa di Petronio, s'inchinò su lui, dicendo:
– Hai tu supposto che io ti lasciassi? Se gli dèi mi dessero l'immortalità e Cesare l'impero del mondo, ti seguirei lo stesso.
Petronio sorrise, si alzò un po', avvicinò le sue labbra a quelle di Eunice e disse:
– Vieni con me.
Ella stese il suo roseo braccio al chirurgo e poco dopo il di lei sangue incominciò a confondersi e a perdersi in quello dell'arbitro.
Indi Petronio fece segno al maestro di musica e di nuovo si udirono le cetre e le voci dei coristi. Cantarono prima Armodio, poi il Canto di Anacreonte, il canto nel quale il poeta si duole di avere trovato un tempo il fanciullo di Afrodite assiderato e piangente sotto un albero; egli lo raccolse, lo scaldò, gli asciugò le ali, e il fanciullo ingrato gli attraversò il cuore con un dardo, e da quel momento il poeta non ebbe più pace.
Petronio e Eunice, colla testa dell'uno adagiata sul petto dell'altra, belli come due divinità, ascoltavano, sorridevano e divenivano pallidi. Alla fine del canto Petronio ordinò dell'altro vino e delle altre vivande; poi si mise a conversare coi convitati vicini a lui di cose di poca importanza, ma piacevoli, tali come si dicevano di solito ai banchetti. Per ultimo, chiamò il greco perchè gli fasciasse il braccio per un momento, perchè il sonno lo tormentava, ed egli voleva abbandonarsi ad Hypnos prima che Thanatos lo addormentasse per sempre.
Infatti si addormentò. Si risvegliò col viso di Eunice sul suo petto, come un fiore bianco. L'adagiò sul cuscino per contemplarla una volta ancora. Dopo si fece riaprire le vene.
Al suo cenno i coristi ricominciarono il Canto di Anacreonte, accompagnati dolcemente dalle cetere per non soffocare le parole. Petronio continuava a impallidire; terminato il canto si volse di nuovo agli invitati, dicendo:
– Amici, confessate che con noi perisce...
Non ebbe la forza di finire; coll'ultimo movimento del suo braccio cinse Eunice, la sua testa cadde sul cuscino e morì.
Gli ospiti, guardando a quelle due bianche forme, rassomiglianti a due statue meravigliose, comprendevano bene che con loro periva tutto ciò che era rimasto alla società di quel tempo: la poesia e la bellezza.
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