Siamo in cima all’altopiano di arenaria.
Tappeti di terra rossa ricoprono l’arida terra sotto i nostri piccoli occhi.
Ogni passo solleva granelli di polvere, si infiltrano nelle nari, si spandono nei polmoni.
Le spalle vedono il rossore del cielo, illimitate distese di terra, desolazione, vuoto. I miei occhi ti guardano. Lacrime nere ti soffocano gli occhi. Non riesco più a leggere l’inchiostro dell’iride.
Mi hai portata in questo luogo solitario altre volte, ho atteso sempre il tuo ritorno. Il cuore si allargava ed in esso fluiva nuovamente sangue nell’udire i passi avvicinarsi. Vedendomi ancora rannicchiata sull’altura tendevi le mani, rialzavi il corpo polveroso e disidra, mi trampolino.
L’anima si è sgretolata al sole perdendosi nel vento, resta un involucro leggero e distruttibile.
L’impatto. Mani nervose, dita fragili. Per un istante sono fusa nell’aria. Un tonfo annuncia l’arrivo. Una piccola sagoma solleva polvere dal suolo e dentro anche le ossa si sono fatte polvere. La terra avrebbe dovuto aprire la bocca famelica, masticarmi con denti aguzzi e candidi.
I piedi penzolanti dal trampolino, gli occhi fissi su di me: sono una ferita emorragica, fluida sull’aridità del terreno.
L’odore di sangue si diffonde nell’etere, richiama avvoltoi aleggianti.
Tu ed il silenzio agghiacciante spettatori della carneficina animale. Quando ogni lembo di carne sarà sparito, ogni ricordo ti si dissolverà dalla mente. Non avrò più un volto, una voce, un nome.
La mia morte è la tua catarsi.
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