"Scrivere è come la droga che odio e che prendo, il vizio che disprezzo e in cui vivo. Ci sono veleni necessari, e ce ne sono di sottilissimi composti di ingredienti dell'anima; erbe colte nei canti delle rovine dei sogni, papaveri neri trovati vicino alle tombe [...], lunghe foglie di alberi osceni che agitano i loro rami sulle rive sentite dei fiumi infernali dell'anima. Sì, scrivere significa perdermi, ma tutti si perdono, perché tutto è perdita. Però io mi perdo senza allegria, non come il fiume nella foce alla quale nacque ignaro, ma come la pozzanghera creata sulla spiaggia dall'alta marea, e la cui acqua, inghiottita dalla sabbia, non tornerà più al mare."
"Come tutti i grandi amanti, amo la delizia della perdita di me stesso, nella quale si patisce interamente il godimento del darsi. E così, spesso scrivo senza voler pensare, in un vaneggiamento esterno, lasciando che le parole mi accarezzino, bambino piccolo in braccio a loro. Sono frasi senza senso che scorrono morbide, in una fluidità di acqua sentita, oblio di fiume ove le onde si misturano e si indefiniscono, diventando sempre altre, succedendo a se stesse. Così le idee, le immagini, tremule di espressione, sfilano davanti a me in sonori cortei di sete sfumate, dove un chiardiluna di idea riluce, macchiato e confuso."
(Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares - Fernando Pessoa)
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