Sono trascorsi molti mesi di silenzio, ho ignorato le mie lacrime interiori per non fermare una giostra che stava partendo. Ho smesso di ascoltare per non crollare. Per non ledere una finta integrità.
Ho reciso le corde vocali per annullare ogni vibrazione che permettesse ai suoni di uscire dal corpo. Non so cosa ne ho ottenuto, lo scoprirò quando il distacco dagli anni vissuti mi consentirà di vedere in modo limpido.
Scrivere mi provoca un eccesso di dolore, soprattutto quando nella notte un turbinio di lettere urta nella testa, fracassa la teca cranica. Allora mi stringo dentro l’abbraccio di un corpo caldo che da mesi mi accompagna, il respiro come un mantra mi tiene ferma al suolo.
È questo forse ciò che ho ottenuto, la stabilità fisica di due corpi.
Manca tanto però affinché la mia vita funzioni.
Il lavoro incerto e mai programmato dovrebbe esser sostituito da quanto desidero da tempo. Svolgere il lavoro per cui ho studiato è una grande fortuna al giorno d’oggi ma non tollero una forma lavorativa definita “accessoria”, che non è altro che la ridicolizzazione dello sforzo umano fisico, intellettuale e creativo.
Ho un rifiuto ogni qualvolta esco da casa per affrontare la giornata, nell’entrare in contatto con la disorganizzazione dalle fattezze umane.
Voglio di più, l’ambizione mi muove.
Nell’anno che verrà mi voglio lavorativamente soddisfatta. Ho cambiato città per raggiungere chi amo, ma non basta l’affetto umano per mettere ogni cosa al suo posto.
Crearsi le possibilità è la via da percorrere, fin quando il lavoro non produrrà io resterò immobile in attesa di aprire la mente a nuovi studi.
31 Dicembre 2014