Ho scavato partendo dal centro della terra madida di pianti umani. Riaffioro.
Il profumo di mare riempie, salsedine sugli occhi ed onde infrante come sogni.
Fra i denti lo scricchiolio siliceo della sabbia ricorda l’amore fatto a pezzi. Fra i tuoi lo scricchiolio di ametiste frantumate.
Graffiano. Sanguini.
Deglutisci e ricorda la mia rabbia.
Occhi impastati dal sale delle lacrime. Grumi serrano le palpebre. Uno schiudersi difficile. È la spinta di un feto via dall’utero.
Risveglio: giornata funerea.
Cenere ondeggiante sul piano marino. Sidereo silenzio ed eterno grigiore. Gelida aria sprizza nelle nari con la rapidità di un proiettile, esplode polvere da sparo nelle cavità polmonari. L’umida terra ha trasmesso nel sonno il dolore dell’acqua. Riemerge il ricordo di una luce nel mondo, una vita passata in cui essa infondeva vita con il suo calore.
La nuova vita non ha luce.
Scende la pioggia da un cielo senza inizio, trascinando negli interstizi della terra il viscoso liquido che mi ha protetta nella quiescenza. Ricrescerà la pelle, cesserà di ardere la carne nuda e purpurea.
Le intense passioni ci distruggono la vita nello stesso tempo in cui ce ne svelano la plenitudine e la bellezza.
- Yaets -
L’eccitazione mi rese un po’ più ardita. Mi azzardai a scostare di più la tenda, giusto quel tanto che bastava per poter osservare dalla fessura. I miei amici erano troppo occupati da loro stessi per rendersi conto di qualcosa. Sempre in piedi, gambe divaricate, cominciai ad accarezzarmi con tutt’e due le mani, senza lasciarli con gli occhi. Quei uomini che mi avevano fatto godere erano ora intenti a scambiarsi piaceri maschili, una sorta di lotta in cui due virilità si sublimavano e si annullavano al contempo, ed era lo spettacolo più conturbante che si potesse immaginare.
L’Uno cadde di nuovo in ginocchio davanti all’Altro e, sempre leccandolo, s’infilò tra le sue gambe. Spostandosi come un penitente, fece giocare la lingua sul cazzo, poi sui coglioni, poi fra le natiche dell’amico, e, quando fu passato dall’altra parte, si alzò e, con un colpo di reni preciso, lo inculò.
Il gesto era stato così perfetto che lanciammo tutti e tre un rantolo di soddisfazione. Poi l’uno cominciò a fare avanti e indietro, con movimenti vigorosi delle natiche leggiadre, continuando a tenere il compagno per il petto e mordicchiandogli la nuca e le spalle. L’Altro si masturbava allo stesso ritmo, e anch’io, dietro la tenda. Spettatrice clandestina, avevo già goduto più volte. Non resistendo più in piedi, ero caduta in ginocchio, ma lo spettacolo era tale che, gambe sempre aperte, trovai ancora la forza di darmi tutto il piacere possibile, divorando con gli occhi il furore erotico dei due amici.
Raggiunsi l’ultimo orgasmo quando vidi le loro reni tendersi e i visi contorcersi per effetto di un’estasi violenta e nervosa. Fiottarono insieme, l’Uno nel culo dell’amico, l’Altro nella propria mano. Urlai assieme a loro, e il mio corpo continuò a torcersi mentre guardavo spruzzare e schizzare lontano dalla sua fonte il bel liquore bianco dell’Altro.
8 Aprile 2010 h. 1:56
Inafferrabile. Etereo. Se potessi toccarti stringerei solo le lame più affilate.
Sei così lontano, non ti scorgo più. Non sei neppure tornato a soffiarmi la cenere via dagli occhi, solo una sottile polvere che li nasconde ai tuoi.
Rabbia, la sto conoscendo. Una rabbia profonda quanto radici secolari attecchite nella terra. È un sentimento così viscerale che ne provo sgomento e indignazione. Non riesco ad incanalarla al di fuori di me.
Implode. Con potenza ogni frammento distrugge ogni parte del mio interno. Le macerie si disciolgono, mutano in un liquido purulento che diviene sempre più fluido, assumendo colore e sembianze del dolore.
Si spande, scivola, cola; mi riempie nella totalità.
Necessito un rito catartico, una pioggia incessante che lavi e permetta a cristalli di ametista di ricrescere e rutilare al sole.
Chiudo gli occhi per lasciarmi tormentare da una placenta di pensieri, canzoni sbiadite e parole amare che un tempo donavano un mellifluo sapore alle labbra.
Un urlo abbatte le pareti
volteggiano nel vento come cartone.
Le lacrime lambiscono la pelle
si diramano dappertutto
riflettono il reticolo venoso all'interno del corpo umano.
I vestiti bevono
madidi aderiscono alla pelle come sotto un acquazzone
si decompongono
amorfo materiale cade come la vecchia corteccia di un albero.
Il vento raggela,
mi sbaglio… è l’assenza di te.
Un’intensa fitta al cuore mi fa sperare che un’invisibile lancia mi abbia trafitta
mi accascerò a terra e foglie secche occulteranno l’assassinio.
L’accrescersi del dolore ad ogni respiro mi rende consapevolmente viva.
Nuda
ripiegata su me stessa, mi nascondo per la vergogna.
La rete lacrimale si diffonde senza sosta
soffoca.
Sono un pagliaccio deriso dal suo unico spettatore.