Per caso trovo la meravigliosa musica di Corelli accompagna dalle immagine di un luogo dove parecchi minuti della mia vita si sono sommati in ore, di attesa e pensieri.
Tappeti fluidi di parole, dense, pesanti. Il desiderio di ritornare fra le mie cose, i miei affetti.
L'odore di tristezza ed abbandono mi accoglievano sin dalle scale, fredde, mute. Il silenzio che non sa di città. E poi arrivava la metro, portandomi via con la sua corsa sotterranea, sputandomi nella luce, nel grigiore dei cieli invernali, nel silenzio dei pescatori, nel vocio estivo dei bagnanti catanesi.
Sempre le stesse onde a toccare la crosta nera delle rocce.
E quando, al mio arrivo in città attendevo che la metro mi portasse al Borgo, l'abbattersi delle onde, dolce o impetuoso, incantava il mio sguardo, che non desiderava altro che restare lì, a mirare l'incontro di due elementi tanto differenti.
Il suo sperma bevuto dalle mie labbra
era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica
esultanza
guardando i suoi occhi neri
che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana
e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due
come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri
per molti anni ancora
i baci e le speranze
e non credevamo più in Dio
perché eravamo felici.
...di Alda Merini
Ore dieci. Dopo cena, come ho già detto, andiamo spesso al cinema. Una volta seduti al buio, Silvia mi mette la mano nella mano e così guardiamo il film con le mani riunite, proprio come due coniugi mentre fanno qualche cosa che li accomuna.
Qualche volta se non abbiamo fatto l'amore nel primo pomeriggio, Silvia che pare pensare che non deve passare giorno senza rapporto sessuale, prende, dopo un poco, ad accarezzarmi: lo fa senza che glielo chieda e senza che lo desideri. La sua mano, al buio, lì sulle mie ginocchia, libera le dita dalle dita della mia, striscia verso la linguetta della chiusura lampo, l'abbassa a piccoli strattoni, quindi si introduce tra lo slip e il ventre e, senza fretta, al riparo di un soprabito gettato sulle mie gambe, libera con dolce e tenace gradualità, i genitali. Adesso la carezza continua lenta e riflessiva, calcolata, si direbbe, in modo da interrompersi ogni volta che il piacere si fa troppo acuto e di riprendere appena diminuisce fino a un grado sopportabile. E una carezza sapiente e, a modo suo, spietata; qualche volta mi viene fatto di paragonarla a certe torture basate sull'alternanza sistematica del dolore e del sollievo, come per esempio la garrotta spagnola che, anch'essa, come la carezza di Silvia, viene prolungato più che sia possibile in un susseguirsi alternativo di asfissia e di respiro. Alla fine, forse temendo che io abbia l'orgasmo prima del tempo da lei stessa fissato, Silvia si piega bruscamente verso di me e finisce di fare con la bocca quello che ha iniziato con la mano. Allora, mentre la sua testa va su e giù sul mio ventre, con un movimento impaziente e quasi infuriato, non posso fare a meno di domandarmi che cosa le ispiri una volontà così decisa di farmi eiaculare.
La prima cosa che mi viene in mente é che non sarà sempre così: Silvia e io ci amiamo ancora come ai primi giorni del matrimonio, anzi, probabilmente, di più; e quest'amore raddoppiato di frenesia sessuale non durerà per sempre; semplicemente, Silvia cerca di approfittare dell'amore finché c'é, come si cerca di approfittare di una giornata di sole poco prima dell'inverno. Ma in questa avidità sessuale di Silvia, secondo me, bisogna vedere anche un'inconscia aspirazione alla maternità cioè il bisogno, anch'esso inconscio, di assicurarsi che all'occorrenza l'aspirazione potrebbe essere prontamente soddisfatta. L'idea di un istinto materno in continuo agguato potrebbe essere confermato dal fatto che Silvia, dopo il mio orgasmo, non si libera del seme sputandolo nel fazzoletto ma lo inghiotte con una avidità simbolica e compunta, come se si rendesse conto che in quel momento la sua bocca sostituisce il viscere che presiede al concepimento.
I pensieri scivolano come serpenti, libero il corpo. Inafferrabili prendono la forma della parola scritta.