Ore dieci. Dopo cena, come ho già detto, andiamo spesso al cinema. Una volta seduti al buio, Silvia mi mette la mano nella mano e così guardiamo il film con le mani riunite, proprio come due coniugi mentre fanno qualche cosa che li accomuna.
Qualche volta se non abbiamo fatto l'amore nel primo pomeriggio, Silvia che pare pensare che non deve passare giorno senza rapporto sessuale, prende, dopo un poco, ad accarezzarmi: lo fa senza che glielo chieda e senza che lo desideri. La sua mano, al buio, lì sulle mie ginocchia, libera le dita dalle dita della mia, striscia verso la linguetta della chiusura lampo, l'abbassa a piccoli strattoni, quindi si introduce tra lo slip e il ventre e, senza fretta, al riparo di un soprabito gettato sulle mie gambe, libera con dolce e tenace gradualità, i genitali. Adesso la carezza continua lenta e riflessiva, calcolata, si direbbe, in modo da interrompersi ogni volta che il piacere si fa troppo acuto e di riprendere appena diminuisce fino a un grado sopportabile. E una carezza sapiente e, a modo suo, spietata; qualche volta mi viene fatto di paragonarla a certe torture basate sull'alternanza sistematica del dolore e del sollievo, come per esempio la garrotta spagnola che, anch'essa, come la carezza di Silvia, viene prolungato più che sia possibile in un susseguirsi alternativo di asfissia e di respiro. Alla fine, forse temendo che io abbia l'orgasmo prima del tempo da lei stessa fissato, Silvia si piega bruscamente verso di me e finisce di fare con la bocca quello che ha iniziato con la mano. Allora, mentre la sua testa va su e giù sul mio ventre, con un movimento impaziente e quasi infuriato, non posso fare a meno di domandarmi che cosa le ispiri una volontà così decisa di farmi eiaculare.
La prima cosa che mi viene in mente é che non sarà sempre così: Silvia e io ci amiamo ancora come ai primi giorni del matrimonio, anzi, probabilmente, di più; e quest'amore raddoppiato di frenesia sessuale non durerà per sempre; semplicemente, Silvia cerca di approfittare dell'amore finché c'é, come si cerca di approfittare di una giornata di sole poco prima dell'inverno. Ma in questa avidità sessuale di Silvia, secondo me, bisogna vedere anche un'inconscia aspirazione alla maternità cioè il bisogno, anch'esso inconscio, di assicurarsi che all'occorrenza l'aspirazione potrebbe essere prontamente soddisfatta. L'idea di un istinto materno in continuo agguato potrebbe essere confermato dal fatto che Silvia, dopo il mio orgasmo, non si libera del seme sputandolo nel fazzoletto ma lo inghiotte con una avidità simbolica e compunta, come se si rendesse conto che in quel momento la sua bocca sostituisce il viscere che presiede al concepimento.
1 response to "...da "L'uomo che guarda" di Alberto Moravia"
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uhmm.. lo sto leggend proprio or ora. diavolo di una concidenza (ma tanto non esistono) quella frase di miller... adoro pure lui