Un'estate partita male, pochi libri letti, un feto letterario cullato ancora nella quiescenza, non per mancanza di ispirazione ma di isolamento mentale o ancor più fisico. Non si sono alzate le barriere che han dovuto difendere da suoni familiari, ansie e doveri.
Erano sempre sotto un lembo di pelle infiammata le parole, il tempo materiale ad accarezzarle per lasciare spazio ad altre necessità.
C'è stata anche un'occasione perduta, la rivolta. Il macigno greve del dovere, la leggerezza del corpo scrollato dal pianto. Pochi istanti e torna la frustazione di arginare potenziali, assecondare desideri familiari per essere l'unica a non deludere, mai.
E' avvilente il ritorno in un luogo in cui ogni capacità non ha valore. L'ambizione diviene una malattia da soffocare.
Trovo ridicolo e involontariamente geniale il modo in cui gli incapaci riescano a conquistare isole nuotando nella trascuranza.
Convivenze parassitarie da sopportare, individualismo represso.
Devo distrarmi per impedire alla sopraffazione di tagliuzzarmi gli occhi ogni giorno.
Consolazione e rabbia i giorni trascorsi in Trentino. I piedi infossati nella terra, sotto il peso plumbeo dei mesi che ci separeranno ancora.
Gli alberi divengono orfani di foglie, le terre bruciate per esser preparate alla semina. Nella trasformazione, in cui tutto appare morente, per le piogge esala l'olezzo della vita madida di placenta. E' un pullulare di organi, di sensi. Divengo ricettiva, famelica fame di immagini tormenta villi intestinali pronti ad assorbire, il sangue diviene inchiostro con cui tingere le mani.
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