Cammino sull’asfalto delimitato da lampioni che vogliono accecarmi, la pioggia sottile penetra fra la trama del tessuto, aghi di acqua scendono fin nelle ossa.
Un rumore mi distoglie dai pensieri, sono i passi di qualcuno, proprio dietro le mie spalle. Mi volto camminando e con me anche l’ombra, nient’altro che desolazione notturna; continuo a camminare mutando la mia andatura e con essa mutano i passi dell’invisibile creatura.
Proseguo per la via del ritorno concentrandomi unicamente sui passi che seguono i miei come il doppio battito del cuore.
Di colpo i passi si arrestano, ed ora sono io ad emularli, costretta da un peso superiore al mio corpo.
Pochi minuti e sarò a casa, ma ho l’impressione che il tempo si dilaterà.
Una sensazione di angoscia mi assale, ho la nausea, una sfera plumbea prende il posto del diaframma.
Mi trascino per la strada e finalmente giungo ai piedi del palazzo ormai addormentato. L’appartamento mi appare come un luogo salvifico.
Tolgo i vestiti fradici e faccio una doccia bollente, ma neppure l’acqua pulita può togliermi la terribile sensazione che mi porto addosso.
Gli occhi si sciolgono in un pianto, adese al corpo non vi sono gocce d’acqua ma innumerevoli lacrime che trasudano dall’anima.
Ed ecco l’immagine del mio corpo nudo riflessa allo specchio; mi avvicino per guardarmi meglio, per scrutarmi… la pelle somiglia alla corteccia di un albero, ha perso la sua luminosità, le labbra si sono assottigliate. Confusa e terrorizzata scaglio un oggetto contro specchio e l’orrenda immagine, in mille frammenti irregolari, si ripete innumerevoli volte ai miei occhi. Quella donna non posso essere io… non voglio esserlo… tutte le angosce e le paure trasformati in mefistofeliche creature si sono ancorati alla pelle, alla carne, succhiandone ogni essenza vitale. Catatonico il corpo si fa spettatore della lotta quotidiana.
Potrò mai liberarmi e dissipare un nuovo seme da cui rinascere?
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