Spunta non appena io esco dalla doccia, scherzoso e affascinante; io mi stringo a lui, completamente nuda - la mia pelle ancora umida contro le gocce di pioggia del suo giubbotto di pelle. Rabbrividisco.
Mi intima di non rivestirmi.
Mi ordina di mettermi al centro della stanza a quattro zampe, appoggiata sui gomiti, con le cosce un po' aperte. Lancio uno sguardo di sbieco per vedermi nel grande specchio. Grottesca e penosa. Ho l'impressione di avere i seni penduli della lupa di Roma.
Con alcune corde che ha portato, mi lega per costringermi in questa postura: le braccia unite alle ginocchia, le caviglie bloccate al termosifone due metri più in là, il collo stretto da un'altra corda che mi ammanetta anche i polsi, ed è fissata ai piedi del letto. Un'altra corda molto stretta fa un doppio giro sopra e sotto i miei seni facendoli schizzare come mani tese fra sbarre di canapa.
Mi lascia appena il tempo di gettare una rapida occhiata di sbieco nello specchio, per farmi apprezzare la confezione regalo, l'oggetto che sono diventata, poi mi benda gli occhi.
Mi passa dietro e mi unge con vaselina il sesso e l'ano - dentro e fuori. I suoi gesti hanno una precisione clinica, e non mi provocano nessun tipo di eccitazione. Nient'altro che terrore.
Sento una serie di leggeri scatti metallici, poi intravedo da sotto la benda il lampo di un flash, sento il rumore ostile dell'apparecchio che viene riarmato.
Ho tenuto quelle foto, e ancor oggi non posso rivedere senza provare un'emozione indicibile l'immagine di quella ragazza anonima, con una benda nera sugli occhi, e la carne stretta da nodi assurdi, sottomessa a ogni aspettativa, con il cuore in gola - l'immagine stessa dell'angoscia.
Sono lì accovacciata per terra, le chiappe inarcate per la posizione che mi ha costretta ad assumere. Le corde mi segano la pelle. Sento la porta richiudersi. Chiamo, nessuna risposta. La mia voce mi sembra strana, come inspiegabilmente lontana.
Aspetto a lungo, e le ginocchia iniziano a farmi male. Le corde sono strette e tese e non mi permettono nessun movimento. Riesco a malapena a respirare. Cerco di farmi scivolare la benda dagli occhi sfregando la tempia sulla spalla, ma invano.
Di nuovo la porta. Rumore di passi. Ma non è solo. Ho la certezza che siano almeno in due.
Un groppo enorme nello stomaco. Le mani fradice sul pavimento.
Due mani si artigliano ai miei fianchi, un cazzo mi inforca, rapido, preciso, e arriva a sbattere sul fondo della mia vagina - non posso impedirmi di urlare.
Lampi di flash si insinuano sotto la benda. L'uomo si agita nel mio ventre. Quasi subito qualcuno mi solleva la testa - la corda mi sfrega la nuca - ed un altro cazzo mi forza le labbra.
Nausea.
Lo scatto della macchina fotografica.
Non entrerò nei dettagli. Mi ha tenuta legata così per tutto il giorno - liberandomi solo una volta, ma senza sbendarmi, per portarmi a far pipì, poi mi ha nuovamente legata. Ha fotografato senza tregua, con inquadrature molto vicine che non permettevano di identificare il soggetto; solo le mie natiche, la mia pancia e la bocca, e poi la pancia, i fianchi e il cazzo di quelli che mi penetravano.
Aveva dovuto imporre alcune regole: una volta installati, dovevano eiaculare là dove si erano ficcati. Quel giorno ho bevuto più sperma di quanto ne avessi mai inghiottito in tutta la mia vita. Sono stata sodomizzata ripetutamente. Può darsi che anche questo facesse parte del rito. Solo in pochi hanno preferito il mio ventre, ma sono stati comunque abbastanza numerosi perché sentissi, ben presto, lo sperma colarmi sulle cosce.
Chi erano? JP mi ha mostrato le foto due giorni dopo: belle stampe brillanti in 13x18, con i colori netti e chiari di una pellicola a grana fine. In tutto, ventitré uomini mi avevano penetrata quel giorno. Peli ricciuti su pancioni cascanti, o muscoli tesi. Pochi i biondi. Uno di loro li ha completamente grigi. I cazzi sono di tutte le forme e le misure. Quattro si protendono da ventri piatti ed imberbi, senz'altro di adolescenti, e tutti hanno scelto la mia bocca. Altri sono ricurvi come banane, o contorti come tronchi, o magri e granulosi come salsicce di Auvergne, o corti e tozzi, grossi frutti purpurei esplosi sul ramo...
Nei film o nelle riviste porno, si vede sempre uno stesso modello di uccello, di dimensione quasi costante, come se fosse stato imposto uno standard - un po' come i seni ipertrofici, iperrealisti, delle star femminili dell'hard.
E poi cazzi di tutti i colori. Uomini dalla pelle molto scura, il cui glande violaceo viene a baciare le mie labbra. Un asiatico con i peli appena ondulati. Tre neri, molto neri - tutti e tre nel culo.
C'è anche qualche foto scattata appena l'hanno sfilato, o nell'intervallo fra due visite. Primo piano sul mio viso, sempre inondato di lacrime - tutti quei porci hanno tracimato dalla mia bocca. Primo piano sul mio culo, il buco aperto, allargato, ansante come la bocca di una carpa, incredibilmente dilatato. Il sesso sbadiglia come una conchiglia che abbia rinunciato a custodire le sue perle - lacrime di sperma, fissate dallo scatto, stillano da ogni mio buco.
1 response to "...da Dolorosa soror di Florence Dugas"
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Morbosamente intrigante......