La vita non era poi così amara, solo che sembrava essersi arenata. Come tanti, anche Ismael pensava di venire in Europa, ma senza visto non poteva farlo. Quando era nato sua madre non lo aveva nemmeno registrato all’anagrafe, per cui faticava anche a munirsi di un documento. Il passaporto, quello sì, poteva comprarlo, bastava che quattro testimoni ne certificassero la nascita, ma il visto era un’altra faccenda, costava troppo. Poi gli parlarono anche di partire su una chiatta. Se pagavi quattrocento euro o un milione di franchi africani ti trovavano un posto. Rimase in Senegal per dieci mesi e alla fine si decise.
Sulla lancia erano in ventitré, quasi tutti pescatori, e nessuna donna. Lo scafista era un marocchino sprezzante del carico umano che trasportava. Partirono da una spiaggia coperta di rifiuti e impiegarono sette giorni a percorrere duemila chilometri. Corsero un rischio enorme, perché per evitare le coste del Sahara Occidentale navigarono in acque internazionali, e dunque in mare aperto, cosa oltremodo pericolosa. Quando persero di vista la terra Ismael si alzò e cercò con lo sguardo qualcosa che non fosse acqua, spostando il peso da una gamba all’altra per compensare il dondolio della barca, per mantenere la linea dell’orizzonte; l’idea di sentirsi accerchiato, indifeso, lo terrorizzò. Cercava di non vomitare di tenere a mente il punto da cui era partito e che si lasciava alle spalle per dirsi che stava avanzando, perché, circondata dall’acqua da tutte le parti, gli sembrava che la lancia non stesse puntando in nessuna direzione. Il sole, la luna e le stelle furono i suoi unici punti di riferimento durante la traversata.
Cosmofobia - Lucìa Etxebarrìa