La fantasia è il miglior luogo in cui vivo, mi alimenta e pulsa con me...
Moriranno le parole, dilaniate da corde sottili e d'aciaio, in gole corrose dai pianti.
Voglia di sangue e lacrime fatti di parole.
Il rumore dell'ombra della vita interferisce, mi risucchia lontana dalla candida catarsi del dolore. Siamo criceti in corsa, automi, rotelle dentate di marchingegni sterili.
La terra, diceva, non è altro che un grande macchinario. Un gigantesco impianto di lavorazione. Una fabbrica. Ecco la risposta delle risposte.
Pensate alle macchine per levigare le pietre. Quei cilindri che girano e girano, ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette, pieni d'acqua e pietre e ghiaia. Che triturano e triturano. E girano, girano. Levigando quelle brutte pietre fino a trasformarle in gemme. La terra è così. Ecco perché gira. Noi siamo le pietre. E le cose che ci accadono - drammi, dolore, gioia, guerre, malattie, vittorie, aggressioni - altro non sono che l'acqua e la sabbia destinate a eroderci. A triturarci. A levigarci, per renderci belli e splendenti.
Cavie - Chuck Palahniuk
Resterà ignoto alla mente il motivo per cui continui a cercarmi. Non mi ami, ne sono certa, ma allo stesso tempo sono sempre stata un tuo pensiero.
Un desiderio è un fragile e fugace profumo, si sarebbe dovuto acquietare negli anni, doveva tacere con la lontananza. Invece no, ci sei sempre, anche quando c'è chi ti copre d'amore.
Ho dimenticato il tuo volto, mi sono persa in occhi profondi che tengono dentro tutto l'universo, tremo al loro ricordo. Li ho amati, li conoscevo in vite passate, li incontrerò ancora...
Bussi con insistenza, ti lascio entrare tra le mie stanze madide di lacrime. Ho cercato smarrimento tra baci e caldo nettare. A me non può bastare, tu non hai nessun sapore, sei solo plastica con cui giocare.
Vago nel labirinto in cerca del Minotauro, gli chiederò di sbranarmi il cuore.
"Scrivere è come la droga che odio e che prendo, il vizio che disprezzo e in cui vivo. Ci sono veleni necessari, e ce ne sono di sottilissimi composti di ingredienti dell'anima; erbe colte nei canti delle rovine dei sogni, papaveri neri trovati vicino alle tombe [...], lunghe foglie di alberi osceni che agitano i loro rami sulle rive sentite dei fiumi infernali dell'anima. Sì, scrivere significa perdermi, ma tutti si perdono, perché tutto è perdita. Però io mi perdo senza allegria, non come il fiume nella foce alla quale nacque ignaro, ma come la pozzanghera creata sulla spiaggia dall'alta marea, e la cui acqua, inghiottita dalla sabbia, non tornerà più al mare."
"Come tutti i grandi amanti, amo la delizia della perdita di me stesso, nella quale si patisce interamente il godimento del darsi. E così, spesso scrivo senza voler pensare, in un vaneggiamento esterno, lasciando che le parole mi accarezzino, bambino piccolo in braccio a loro. Sono frasi senza senso che scorrono morbide, in una fluidità di acqua sentita, oblio di fiume ove le onde si misturano e si indefiniscono, diventando sempre altre, succedendo a se stesse. Così le idee, le immagini, tremule di espressione, sfilano davanti a me in sonori cortei di sete sfumate, dove un chiardiluna di idea riluce, macchiato e confuso."
(Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares - Fernando Pessoa)
Ho baciato bocche dal sapore assente.
Non ho baciato bocche di cui ho già pregustato il sapore.
"Siamo, anche se non lo vogliamo, schiavi del momento, dei suoi colori e delle sue forme, sudditi del cielo e della terra. Perfino colui che più si rintana in se stesso, disdegnando ciò che lo circonda, costui non si rintana nello stesso modo quando piove o quando il cielo è sereno. Oscure mutazioni, forse avvertite solo nell'intimo dei sentimenti astratti, si verificano perché piove o perché ha smesso di piovere, si avvertono senza che le avvertiamo, perché senza sentirlo abbiamo sentito il tempo.
Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso."
Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares - Fernando Pessoa

La mia creatura.
Anch'io avevo in mente lo stesso termine, strana coincidenza...
Mi riempie di piacere e qualche dubbio.
Che cosa ho creato? Qualcuno direbbe un mostro.
Percorro un gelido corridoio, in fondo una sola porta. È chiusa. I passi sono incerti, il timore si fa spazio nell’animo, lo smuove con l’inquietudine.
Apro lentamente la porta e la richiudo alla mie spalle come se potesse volatilizzarsi tutta l’essenza che impregna la stanza.
Non c’è nessun arredamento, solo pareti lisce d’argento.
Le pareti sono interamente ricoperte da specchi, specchi rotti. Innumerevoli frammenti che ripetono la mia immagine da mille prospettive.
Innanzi a me un corpo esile da cui sfilo le vesti. È sorprendente come un corpo così piccolo possa contenere un’anima, reggere il peso dell’esistenza. Le ossa sporgono in molti punti, sembrano affermare la loro durezza, la voglia di contrastare ogni intrusione esterna, altre sembrano voler strappare la pelle e rivelare un’inutile impermeabilizzazione.
Mishima diceva che i corpi magri rivelano un spirito molto sviluppato; il mio, voglio che continui a nutrirsi, svilupparsi e donare energia.
Non credo all’esistenza di alcun dio, non ho la necessità di confortarmi in un’immagine di infinità bontà e di consolazione. Percepisco però dentro di me, in un profondo difficile da toccare, un’anima. È un’anima che piange, tace, vomita parole come un vulcano erutta la sua lava, raramente ha gioito.
Ho fatto della carta il greto per le sue parole.
Spesso mi rifugio nella mia solitudine, immergendomi in un mare di assenza di contatti fisici. La vicinanza di sangue umano non mi riscalda, sono le essenze a scaldare l’anima, a permettere a flussi energetici di sfiorarsi, toccarsi. Se percepisco intorno a me persone avide di energia altrui, mi discosto, non sono più disposta a farmi turbare dall’egoismo, a farmi ferire dalle sue lance. Preferisco chiudere ogni rapporto, profondo o meno che sia stato. E non torno mai indietro, mai.
È una necessaria forma di sopravvivenza.
Mi sono lasciata indietro amici, parenti, e un amore. Ho trasformato ogni figura in statua di sabbia, il vento le ha distrutte portando cos’è ogni granello. Solo i granelli rossi porpora non sparisco via, sono ancora intrisi del mio sangue, troppo pesanti per volteggiare nel vento come spore.
Ho provato a coprire il sapore amaro di un addio con quello nettarino di baci già conosciuti.
Ogni tentativo è stato vano.
In me dominano spirito e mente, il corpo non ha la stessa fame.
Talvolta l’uomo si spoglia di ogni razionalità per indossare atavici istinti. È come scavare dentro di sé ed estirpare l’anima. Solo angoscia e sensi di colpa colmano quel vuoto.
Ho giocato mostrandomi talvolta crudele, cinica, ho provocato sofferenza dominando figure meno forti della mia. Il piacere che ne ho tratto è stato solo illusorio, come lo era la dura corazza da me indossata. Solo quando la mia luce ne ha incontrata un’altra dalle stessa intensità, si è sciolta la corazza. Le spine si sono trasformate in magnolie palpitanti e la pelle ha rivelato le reali escoriazioni della vita.
Non temevo più nulla. Neppure di mostrare la mia vulnerabilità.
Lo spazio siderale in cui ero immersa era meno gelido. Il tempo aveva cessato di esistere, vivevo nell’atemporalità.
Basta poco nella vita per smettere di volere qualcosa, nella mia no. Se voglio qualcosa la seguo con perseveranza, non è importante quanto tempo occorrerà, fondamentale è realizzare la mia volontà. È una pulsione sempre forte, costante, vitale, è in grado di piegarsi solo di fronte la sofferenza altrui. Per non arrecare dolore scelgo la privazione, evitando così che uno squarcio faccia sanguinare per sempre l’anima di egoismo.
Ho trascorso abbastanza tempo priva di vestiti davanti alle mie immagini, infreddolita rivesto il corpo e vado via, lontana dagli specchi.
18 Ottobre 2010 - h. 00:43
Per caso trovo la meravigliosa musica di Corelli accompagna dalle immagine di un luogo dove parecchi minuti della mia vita si sono sommati in ore, di attesa e pensieri.
Tappeti fluidi di parole, dense, pesanti. Il desiderio di ritornare fra le mie cose, i miei affetti.
L'odore di tristezza ed abbandono mi accoglievano sin dalle scale, fredde, mute. Il silenzio che non sa di città. E poi arrivava la metro, portandomi via con la sua corsa sotterranea, sputandomi nella luce, nel grigiore dei cieli invernali, nel silenzio dei pescatori, nel vocio estivo dei bagnanti catanesi.
Sempre le stesse onde a toccare la crosta nera delle rocce.
E quando, al mio arrivo in città attendevo che la metro mi portasse al Borgo, l'abbattersi delle onde, dolce o impetuoso, incantava il mio sguardo, che non desiderava altro che restare lì, a mirare l'incontro di due elementi tanto differenti.
Il suo sperma bevuto dalle mie labbra
era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica
esultanza
guardando i suoi occhi neri
che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana
e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due
come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri
per molti anni ancora
i baci e le speranze
e non credevamo più in Dio
perché eravamo felici.
...di Alda Merini
Ore dieci. Dopo cena, come ho già detto, andiamo spesso al cinema. Una volta seduti al buio, Silvia mi mette la mano nella mano e così guardiamo il film con le mani riunite, proprio come due coniugi mentre fanno qualche cosa che li accomuna.
Qualche volta se non abbiamo fatto l'amore nel primo pomeriggio, Silvia che pare pensare che non deve passare giorno senza rapporto sessuale, prende, dopo un poco, ad accarezzarmi: lo fa senza che glielo chieda e senza che lo desideri. La sua mano, al buio, lì sulle mie ginocchia, libera le dita dalle dita della mia, striscia verso la linguetta della chiusura lampo, l'abbassa a piccoli strattoni, quindi si introduce tra lo slip e il ventre e, senza fretta, al riparo di un soprabito gettato sulle mie gambe, libera con dolce e tenace gradualità, i genitali. Adesso la carezza continua lenta e riflessiva, calcolata, si direbbe, in modo da interrompersi ogni volta che il piacere si fa troppo acuto e di riprendere appena diminuisce fino a un grado sopportabile. E una carezza sapiente e, a modo suo, spietata; qualche volta mi viene fatto di paragonarla a certe torture basate sull'alternanza sistematica del dolore e del sollievo, come per esempio la garrotta spagnola che, anch'essa, come la carezza di Silvia, viene prolungato più che sia possibile in un susseguirsi alternativo di asfissia e di respiro. Alla fine, forse temendo che io abbia l'orgasmo prima del tempo da lei stessa fissato, Silvia si piega bruscamente verso di me e finisce di fare con la bocca quello che ha iniziato con la mano. Allora, mentre la sua testa va su e giù sul mio ventre, con un movimento impaziente e quasi infuriato, non posso fare a meno di domandarmi che cosa le ispiri una volontà così decisa di farmi eiaculare.
La prima cosa che mi viene in mente é che non sarà sempre così: Silvia e io ci amiamo ancora come ai primi giorni del matrimonio, anzi, probabilmente, di più; e quest'amore raddoppiato di frenesia sessuale non durerà per sempre; semplicemente, Silvia cerca di approfittare dell'amore finché c'é, come si cerca di approfittare di una giornata di sole poco prima dell'inverno. Ma in questa avidità sessuale di Silvia, secondo me, bisogna vedere anche un'inconscia aspirazione alla maternità cioè il bisogno, anch'esso inconscio, di assicurarsi che all'occorrenza l'aspirazione potrebbe essere prontamente soddisfatta. L'idea di un istinto materno in continuo agguato potrebbe essere confermato dal fatto che Silvia, dopo il mio orgasmo, non si libera del seme sputandolo nel fazzoletto ma lo inghiotte con una avidità simbolica e compunta, come se si rendesse conto che in quel momento la sua bocca sostituisce il viscere che presiede al concepimento.
I pensieri scivolano come serpenti, libero il corpo. Inafferrabili prendono la forma della parola scritta.
Perché io e te siamo immersi nel silenzio:
qui dove la campagna tutt’intorno
è quieta; addormentata nella morbidezza
di questa stella della sera, scintillante
al polso della notte. Le luci del villaggio,
come antichi bardi in preghiera, vengono
dolcemente a noi attraverso campi di granturco
che cresce
e docili pecore. Vorremmo far parte
di questo luogo, dove il sonno non è quello cittadino,
dove il sonno è pieno e lieve e vicino
come il profilo di una foglia in un bicchiere di tè; ma
la sapienza ha dipinto nel cuore di ognuno di noi
occhi marci nella testa: non abbiamo scelta: vediamo
tutte le cose che piangono e i giorni sgargianti
su quest’umile terra, mischiando
clacson di taxi e una gigantesca disperazione
con ogni paesaggio, qui, o altrove.

Ho sentito i suoi occhi cercarmi, il sangue tremare.
Il mare scuro che ho sognato è arrivato, è dentro di me.
Serenità travolta da silenziose onde.
Viandante,
amare è ritrovare la propria anima
attraverso l'anima dell'amato.
Quando l'amato si ritrae dalla tua anima
allora la sua anima tu l'hai perduta.
Sta scritto: "Ho un amico,
ma il mio dolore non ha amici".
[...]
frasi tagliate,
alberi tagliati:
hanno abbattuto il bosco.
I gemiti continuano,
disperati
i rami spezzati in pianto.
Ma non è tutto:
le foglie in fiamme!
Non lasciatevi più scrivere,
versi, o imprimetevi nel cielo
di sangue è rosso
il foglio che ho davanti.
(1983)
Ho creduto allo sguardo,
inutili le parole.
Di colpo ho creduto
a lacrime più amare
del dolore cupo, dolci
più di un sonno di bambino.
Una stella azzurra
a metà del cielo.
Non tenete in pugno la farfalla
che la fiamma tenta.
Sarà eterna
la sua vita
all’alba.
(1983)
6 - 7 - 2010
Dopo due anni tutto ricomincia.
Raccomandazioni pre-appuntamento:
- Porta il solito burrocacao e metti le infradito.
- Perchè?
- Mi piace guardarti i piedi.
Scuse inconsistenti, si sgretolano ed io cado. Mi lascio sopraffare dalla sua volontà...
A volte la vita di un uomo si trasforma in un cancro,
a furia di venire pestata, pestata sempre più,
e si gonfia in una massa violacea,
come escrescenza su stelo di granturco.
da "Antologia di Spoon River"
Usurpano le vite per farne spettacoli, inscenano addirittura compianti. Diffondono una misera e finta empatia.
Non c’è rispetto neppure per i morti.
Il fuoco distrugge ogni cosa, sparirà anche la cenere.
Crescono nuovi arbusti dai semi quiescenti.
Bussa ancora alla mia porta, le nocche insanguinate, il solito volto angelico, il cuore nodoso.
Dalla stanza più interna non sentivo nessun suono, solo il ritmico sbatter d’ali nere. Ogni piuma è caduta, l’Angelo era un demone.
Le pareti sono macerie, mi rifugio in altre stanze.
Da qui posso sentire. Mi avvicino alla soglia, scruto, ascolto, ma non permetto che venga varcata.
Ha resistito alle afose estati e ai gelidi inverni. Perché si ostina a rimanere? Vuole lenire le mie ferite o imbrattare con arroganza ed egoismo la mia dimora diroccata?
Non c’è passato, né presente. Solo scaglie di gesso volate nel vento.
Palmi distesi, ricordi che scorrono fra le linee, in un solo istante riempiono con la dimenticanza i solchi della memoria e fuggono via.
Cancello il tuo nome dalle labbra, dalla mente, dalla carne. Estirpo la radice cancerosa.
Il cielo si fa ametista, cola il colore dalla tela, si addensa su di me fino ad inglobarmi.
E' anaerobica questa nuova terra.
Eri una selva d'amore un tempo, una gettata d'amore. Con le tue mani avrei costruito tante pietre per abitarci col mio silenzio.
Perchè correvi così alto?
Perchè scappavi via?
Avrei mendicato il tuo amore, mi sarei attaccata alle tue mani.
Avresti potuto uccidermi, avresti potuto ferirmi, avresti potuto abbandonarmi per terra, così come la Maddalena che chiede perdono per il suo amore sconvolgente.
Sarà la marcescenza della carne o la sua fioritura?
Nel dubbio resto nell'immobilità, un piede sulla terra dell'incertezza, l'altro su quella della tentazione.
La pelle è porosa, si lascia attraversare da profumi lontani. Desidera anch'essa.
Libera voluttuosamente gli ardori soppressi.
L'anima soffre al controllo che scivola via.
Un sogno intenso. Carne e sapori si fondono nella bocca. Il desiderio è così forte che F. è venuto a cercarmi in sogno, poche ore dopo lo ha fatto anche nella realtà.
Ho sognato la persona sbagliata, sono andata troppo indietro nel tempo. Stanotte mi concentrerò, magari becco quello giusto! :-)
La stessa cosa accadeva con M., prima ancora non mi era mai accaduto di avvertire un'invisibile ed onirica comunicazione.
Sapevo sempre quando stavi per cercarmi. Se dormivo mi svegliavo di scatto, come alla ricerca di qualcosa nel buio, con la mano cercavo il cellulare sotto il cuscino, che nel mentre iniziava a vibrare per l'arrivo di un messaggio; altre volte ti sognavo ed appena mi svegliavo c'eri tu a pensarmi....
Cos'è successo al filo invisibile che partiva dal centro delle nostre anime? Si è spezzato o assottigliandosi è divenuto così debole da non permettere alle nostre vibrazioni di propagarsi da anima ad anima.
Figure che hanno popolato il mio passato, sfioramenti superficiali o indelebili energie. Tornano, sempre. Si sovrappongono alla calma che ha trovato la mente. Ogni figura ha un posto nel corridoio oscuro, sono quadri appesi che ascoltano, osservano, chiedono, lacrimano.
C'è il posto ancora vuoto di chi si ostina a non tornare.
Il peregrinare tra le stanze non cessa. In ogni stanza mi incontro e nell'attraversare nuovamente il corridoio rimbomba il suono dei miei passi. Non so più se ti incontrerò ancora, non potevo restare in eterno in attesa. Neppure tu lo avresti voluto. Vermi di silenzio hanno già scavato.
Apro e richiudo nuove porte, forse un giorno tornerai e dirai le stesse cose che mi hai detto un tempo o le stesse che mi sono state dette da altri, che hanno un sapore diverso per ogni bocca che le ha pronunciate.
Forse non è proprio legale sai
ma sei bella vestita di lividi
m'incoraggi ad annullare i miei limiti
le tue lacrime in fondo ai miei brividi
lasciami leccare l'adrenalina
lasciami leccare l'adrenalina
lasciami leccare l'adrenalina
lasciami leccare l'adrenalina
voglio cercare la mia alternativa
e la mia alternativa
è la scossa più forte che ho
è la scossa più forte che ho
Muovo le molecole immobili
sei più bella vestita di lividi
lasciami leccare più forte un po'
le tue lacrime in fondo ai miei brividi
lasciami leccare l'adrenalina
lasciami leccare l'adrenalina
lasciami leccare l'adrenalina
lasciami leccare l'adrenalina
voglio cercare la mia alternativa
e la mia alternativa
è la scossa più forte che ho
è la scossa più forte che ho
è la scossa più forte che ho
Sono ritornata su facebook per cancellare gli album e ri-disattivare l'account...
Avrei potuto lasciare tutto com'era ma l'idea di saperli lì, pur non essendo più visibili a nessuno mi infastidiva ugualmente. Ovviamente mi infastidiva anche l'idea che se ti fossi accorto della mia presenza avresti pensato che ero tornata per vedere la tua pagina.
Non ho potuto fare a meno di leggere i post su Angelo Nero, essendo tendenzialmente malinconica non sono riuscita a non intristirmi. Ma più penso e più tristezza e rabbia si mescolano, due colori che si fondono nell'anima.
F. nonostante sia passato un anno e mezzo continua a cercarmi, tu avresti fatto lo stesso se mi avessi incontrata per strada, nei periodi dei tuoi maledetti silenzi?
Inizio a temere l'estate... tutte le estati.
Un giorno potrei incontrarti e dissolvermi in un dolore così intenso che ora provo solo ad immaginare.
L’uomo non si muoveva, ma il fatto di spiarlo a sua insaputa mi eccitava enormemente. Mi dicevo che, a forza di osservarlo, avrei potuto penetrarlo, cogliere il suo segreto. Era una sorta di stupro senza violenza, qualcosa che mi dava una sensazione dolcissima e molto intensa. Lo guardavo e mi chiedevo quale poteva essere la sua vita, immaginavo il suo corpo nudo, il suo modo di fare l’amore, il suo modo di essere... Quali erano le sue preoccupazioni in quel momento? Che tipo di donne amava? Era sensibile, amorevole, sensuale? Libero? Capace di fantasticare? Intelligente? Allegro? Tenebroso? Misterioso?
L’uomo si alzò, si diresse verso la finestra e lì si fermò, davanti a me. Ignoravo se riusciva a vedermi, dietro la tenda. Restammo un momento immobili, e subito dopo seppi, dall’espressione del suo viso, che mi guardava. Allora slacciai lentamente il vestito, abbottonato sul davanti.
Quando fu del tutto aperto, tirai la tendina. Lui guardò il mio corpo, guardò me. Caddi in ginocchio dietro la finestra, dove posai la bocca all’altezza del suo sesso, dall’altra parte della stradina. Le labbra contro il vetro, cominciai a succhiarlo, guardandolo negli occhi per invitarlo a rispondere al mio desiderio. Lui aprì la patta, liberò il sesso. Era duro. Chiusi gli occhi per un momento, per la gioia. Era splendido. Lo divoravo con lo sguardo, senza potermene distogliere. Quelle palle e quel cazzone che uscivano dal vestito elegante, sotto la cravatta, erano magnifici. Mi alzai, sfilai il vestito e cominciai a girare lentamente dietro la finestra, dondolando i fianchi perché potesse saziarsi della mia anatomia.
Schiacciai il seno contro il vetro, lo accarezzai. Lui prese in mano il cazzo e cominciò a fregarlo lentamente. Allora avvicinai la poltrona alla finestra, mi sedetti con le gambe aperte sui braccioli e mi masturbai, davanti a lui, senza lasciarlo con gli occhi. Godetti guardando che se lo scoteva sempre più in fretta. Anche nel momento in cui le mie reni si arcuarono e si sollevarono sulla poltrona, nel momento in cui urlavo, la testa rovesciata, ero consapevole del fatto che lui continuava a guardarmi con bramosia, che lo eccitavo tanto quanto lui eccitava me. Riaprii gli occhi giusto in tempo per vederlo eiaculare, schizzare tutto il suo prezioso sperma sul vetro, dove prese a colare lentamente. Poi lasciò la stanza e non riapparve più. Mi misi a letto e mi addormentai subito. Mi svegliai a notte fonda. Il mio primo impulso fu di guardare la finestra, dal letto. Proprio in quel momento vidi accendersi la luce nella stanza di fronte, e l’uomo entrarvi in compagnia di una donna.
Era una donna alta, formosa e truccata. ‘Una puttana’, pensai. (...) L’uomo fece mettere la ragazza per terra, a quattro zampe, davanti alla finestra, e, inginocchiato dietro di lei, la inculò, faccia a me. Guardai intensamente il suo volto che si torceva di piacere. Avevo voglia di urlare ‘no, no!’ e ‘sì, sì!’ perché volevo essere lei, volevo essere lui, lo volevo, lui, volevo che tutto quello succedesse nel mio corpo... All’ultimo momento, l’uomo si ritrasse dalla ragazza ed eiaculò in aria, nella mia direzione. “E’ per me”, pensai, “è il mio regalo, lo ha fatto per me.” Assieme a lui, anch’io godetti a bocca aperta, come se potessi inghiottire lo sperma che mi spediva.
Ho scavato partendo dal centro della terra madida di pianti umani. Riaffioro.
Il profumo di mare riempie, salsedine sugli occhi ed onde infrante come sogni.
Fra i denti lo scricchiolio siliceo della sabbia ricorda l’amore fatto a pezzi. Fra i tuoi lo scricchiolio di ametiste frantumate.
Graffiano. Sanguini.
Deglutisci e ricorda la mia rabbia.
Occhi impastati dal sale delle lacrime. Grumi serrano le palpebre. Uno schiudersi difficile. È la spinta di un feto via dall’utero.
Risveglio: giornata funerea.
Cenere ondeggiante sul piano marino. Sidereo silenzio ed eterno grigiore. Gelida aria sprizza nelle nari con la rapidità di un proiettile, esplode polvere da sparo nelle cavità polmonari. L’umida terra ha trasmesso nel sonno il dolore dell’acqua. Riemerge il ricordo di una luce nel mondo, una vita passata in cui essa infondeva vita con il suo calore.
La nuova vita non ha luce.
Scende la pioggia da un cielo senza inizio, trascinando negli interstizi della terra il viscoso liquido che mi ha protetta nella quiescenza. Ricrescerà la pelle, cesserà di ardere la carne nuda e purpurea.
Le intense passioni ci distruggono la vita nello stesso tempo in cui ce ne svelano la plenitudine e la bellezza.
- Yaets -
L’eccitazione mi rese un po’ più ardita. Mi azzardai a scostare di più la tenda, giusto quel tanto che bastava per poter osservare dalla fessura. I miei amici erano troppo occupati da loro stessi per rendersi conto di qualcosa. Sempre in piedi, gambe divaricate, cominciai ad accarezzarmi con tutt’e due le mani, senza lasciarli con gli occhi. Quei uomini che mi avevano fatto godere erano ora intenti a scambiarsi piaceri maschili, una sorta di lotta in cui due virilità si sublimavano e si annullavano al contempo, ed era lo spettacolo più conturbante che si potesse immaginare.
L’Uno cadde di nuovo in ginocchio davanti all’Altro e, sempre leccandolo, s’infilò tra le sue gambe. Spostandosi come un penitente, fece giocare la lingua sul cazzo, poi sui coglioni, poi fra le natiche dell’amico, e, quando fu passato dall’altra parte, si alzò e, con un colpo di reni preciso, lo inculò.
Il gesto era stato così perfetto che lanciammo tutti e tre un rantolo di soddisfazione. Poi l’uno cominciò a fare avanti e indietro, con movimenti vigorosi delle natiche leggiadre, continuando a tenere il compagno per il petto e mordicchiandogli la nuca e le spalle. L’Altro si masturbava allo stesso ritmo, e anch’io, dietro la tenda. Spettatrice clandestina, avevo già goduto più volte. Non resistendo più in piedi, ero caduta in ginocchio, ma lo spettacolo era tale che, gambe sempre aperte, trovai ancora la forza di darmi tutto il piacere possibile, divorando con gli occhi il furore erotico dei due amici.
Raggiunsi l’ultimo orgasmo quando vidi le loro reni tendersi e i visi contorcersi per effetto di un’estasi violenta e nervosa. Fiottarono insieme, l’Uno nel culo dell’amico, l’Altro nella propria mano. Urlai assieme a loro, e il mio corpo continuò a torcersi mentre guardavo spruzzare e schizzare lontano dalla sua fonte il bel liquore bianco dell’Altro.
8 Aprile 2010 h. 1:56
Inafferrabile. Etereo. Se potessi toccarti stringerei solo le lame più affilate.
Sei così lontano, non ti scorgo più. Non sei neppure tornato a soffiarmi la cenere via dagli occhi, solo una sottile polvere che li nasconde ai tuoi.
Rabbia, la sto conoscendo. Una rabbia profonda quanto radici secolari attecchite nella terra. È un sentimento così viscerale che ne provo sgomento e indignazione. Non riesco ad incanalarla al di fuori di me.
Implode. Con potenza ogni frammento distrugge ogni parte del mio interno. Le macerie si disciolgono, mutano in un liquido purulento che diviene sempre più fluido, assumendo colore e sembianze del dolore.
Si spande, scivola, cola; mi riempie nella totalità.
Necessito un rito catartico, una pioggia incessante che lavi e permetta a cristalli di ametista di ricrescere e rutilare al sole.
Chiudo gli occhi per lasciarmi tormentare da una placenta di pensieri, canzoni sbiadite e parole amare che un tempo donavano un mellifluo sapore alle labbra.
Un urlo abbatte le pareti
volteggiano nel vento come cartone.
Le lacrime lambiscono la pelle
si diramano dappertutto
riflettono il reticolo venoso all'interno del corpo umano.
I vestiti bevono
madidi aderiscono alla pelle come sotto un acquazzone
si decompongono
amorfo materiale cade come la vecchia corteccia di un albero.
Il vento raggela,
mi sbaglio… è l’assenza di te.
Un’intensa fitta al cuore mi fa sperare che un’invisibile lancia mi abbia trafitta
mi accascerò a terra e foglie secche occulteranno l’assassinio.
L’accrescersi del dolore ad ogni respiro mi rende consapevolmente viva.
Nuda
ripiegata su me stessa, mi nascondo per la vergogna.
La rete lacrimale si diffonde senza sosta
soffoca.
Sono un pagliaccio deriso dal suo unico spettatore.
Nemmeno un rifiuto breve e cortese. Come puoi? Puoi. Sono io che non posso. Mi fa paura capire fino a che punto non posso.
Come sei entrato nella mia vita? Com'è possibile che fossi così indifesa? E non sei nemmeno entrato da una finestra, o da un lucernaio. Sei riuscito a trovare una fessura attraverso la quale mi hai trafitto il cuore.
...da "Che tu sia per me il coltello"
Stasera vorrei trovarmi proprio lì... Sola, nell'oscurità, con la musica del vento che gela e taglia le vene proprio come i tuoi silenzi.
"Sono solo parole, dopotutto, ed io sto qui a elemosinarle, come un mendicante"
da Che tu sia per me il coltello di David Grossman
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
Perduto amor perduto amor
so che mai più ti rivedrò
Perduto amor perduto amor
ma sempre a te io penserò.
Se ieri ti tenevo sul mio cuore
domani non so dove sarai tu
il tempo lascia solo di un amore
un poco di rimpianto e nulla più.
I dolci sogni dell'età sognante
splendidi fiori felicità
dovevano sfidar l'eternità
e invece sono ormai svaniti già.
Perduto amor perduto amor
so che mai più ti rivedrò
Perduto amor perduto amor
ma sempre a te io penserò.
Al mondo sì nessuno come me
viveva più felice col tuo amor
ma questo se ne andò chissà perché
lasciando l'amarezza nel mio cuor.
Così per un capriccio del destino
un grande amor vi lascia e va
l'avrete fra le mani ma si sa
un giorno come sabbia sfuggirà.
Perduto amor perduto amor
so che mai più ti rivedrò
Perduto amor perduto amor
ma sempre a te io penserò.
In questi giorni ho ripensato ad pomeriggio in particolare e ad una voce al telefono che legge un brano di uno dei miei libri preferiti...
Abdul mi tirò su la camicia all’altezza della vita e mi aprì stizzosamente la patta abbassandomi i calzoni sino alle ginocchia. Vidi il suo cazzo che nell’attesa si curvava e si gonfiava nei pantaloni, e poi mi fece voltare e stendere bocconi. Era una di quelle logore tavole che si usano come tagliere, spessa una trentina di centimetri e consumata dal continuo tagliare e affettare che hanno creato un profondo e ricurvo declivio. Aspettavo avidamente, e gridai quando la sua mano scese, più e più volte, a intenerirmi il culo con schiaffi forti e selvaggi. Poi attraversò la stanza di fronte a me tirò giù da uno scaffale una lattina di olio di mais. Sentii freddo alla pelle quando me lo spruzzò addosso dall’alto e allora mi unse le natiche e la fessura, spingendovi dentro un dito vigoroso e risoluto. Udii il fruscio eloquente dei suoi abiti, i pantaloni che s’afflosciavano sul pavimento appesantiti dalle chiavi che aveva in tasca. Mi scopò con un’eccitante tranquilla veemenza; dando a ogni lunga spinta, una volta penetrato sino alle palle, un’ultima deviazione che mi faceva gorgogliare di piacere e grugnire di dolore, mentre il mio cazzo sfregava il bordo incrostato e scheggiato della tavola.
Scriviamo per poter trascendere la nostra vita, per arrivare al di là di essa. Scriviamo per insegnare a noi stessi a parlare con gli altri, per testimoniare il viaggio nel labirinto.
Scriviamo per ampliare il nostro mondo quando ci sentiamo soffocati, o limitati, o soli. Scriviamo come gli uccelli cantano, come il selvaggio danza i suoi rituali. Se nella scrittura non respiri, se non piangi, se non canti, allora non scrivere, perché la nostra cultura non contempla alcuna utilità per la scrittura. Quando non scrivo, sento che il mio mondo si restringe. É come se fossi in prigione. Sento che ho perso il mio fuoco e il mio colore. Deve essere una necessità, come il mare ha bisogno di incresparsi, e io questo lo chiamo respirare.